Limiti al riconoscimento della speciale tenuità del fatto ai fini dell’esclusione della punibilità dell’imputato

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Il nostro Legislatore nel 2015 ha introdotto una nuova ipotesi per escludere la punibilità di reati per i quali sia prevista una pena detentiva di massimo 5 anni o con pena pecuniaria sola o congiunta alla prima.

L’obiettivo era quello di togliere rilevanza penale ai reati di scarsa offensività: si prevede per prima cosa che il giudice debba valutare la particolare tenuità sulla base dell’esiguità del danno cagionato o del pericolo scaturito dal comportamento dell’agente.

Tale norma ritorna utile soprattutto nel campo dei delitti contro il patrimonio, primo fra tutti il furto, reato che nel nostro ordinamento risulta quasi inevitabilmente aggravato e dunque punito con una pena minima di tre anni. Se io rubo una mela al mercato, paradossalmente scattano già due possibili aggravanti: la destrezza e l’aver rubato oggetti esposti al pubblico.

Già nel 1990 si era cercato di porre rimedio alle evidenti ingiustizie e disparità di trattamento: tra le circostanze attenuanti già previste dal codice venne inserita quella secondo cui nei delitti a sfondo patrimoniale il danno economico risulti di speciale tenuità, o se il soggetto ha agito  per trarre, o per aver conseguito,  un profitto di speciale tenuità.

Fin qui, sembrerebbe andare tutto bene; il signore che ruba il pezzo di formaggio al mercato ora potrebbe avvalersi della norma in questione… non è detto!

La norma prevede un secondo requisito che il giudice deve valutare per escludere la condanna: l’assenza dell’abitualità del comportamento. Il comportamento è abituale se il soggetto ha commesso più volte quel reato, anche qualora i singoli fatti siano tutti connotati dall’essere di scarsa offensività. Tornando all’esempio di prima, se io rubo una mela al mercato, ma in precedenza ero già stato condannato per furti di mele, non potrò avvalermi della nuova norma.

Il Tribunale di Padova, proprio in un caso di furto di un capo di abbigliamento del valore di 45 euro – tuttavia aggravato dalle circostanze sopra menzionate- ha provato a ricorrere alla Corte costituzionale, profilando questo dubbio: non è lesivo del principio di uguaglianza – lo stesso in nome del quale il legislatore aveva introdotto queste norme correttive- prevedere che l’applicazione o meno di una norma così importante come quella che regola l’esclusione della punibilità di una persona, possa dipendere da un criterio puramente soggettivo, nonché indeterminato, quale la non abitualità del comportamento? Non bastava lo scarso valore economico dell’oggetto rubato?

Il giudice delle leggi risponde negativamente: in  presenza  di  fatti  analoghi,  le  ineguali  condizioni soggettive giustificano il  diverso  trattamento  penale.

Rimane, dunque, per ora la presenza di questo duplice presupposto per godere della non punibilità di un reato: in primo luogo lo scarso valore del profitto o la tenuità del danno causato; in secondo luogo, il soggetto che abbia in passato avuto problemi con la giustizia per comportamenti simili, dovrà scontare la valutazione rimessa al giudice sulla natura abituale o meno del proprio comportamento.

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