In tema di molestie, “Facebook” va considerato come luogo pubblico

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Con la sentenza del 12 settembre 2014, i giudici della Corte di Cassazione hanno affermato che, ai fini delle configurabilità del reato di cui all’art. 660, rubricato molestie o disturbo alle persone, va considerato il Social Network Facebook come luogo aperto al pubblico, un luogo virtuale aperto a chiunque utilizzi la rete.

All’imputato era stato contestato il reato previsto all’art. 660 del codice penale per aver ripetutamente molestato con insulti ed apprezzamenti volgari, tramite messaggi resi pubblici attraverso Facebook una giornalista, sua collega.

La vicissitudine giunge in Cassazione in quanto l’imputato, condannato nei gradi precedenti, eccepisce falsa applicazione della norma in questione; secondo il ricorrente costituirebbe errata interpretazione estensiva considerare il social network quale luogo pubblico.

La Corte ha enunciato l’importante principio per cui è ormai pacifico come la piattaforma sociale Facebook rappresenti una sorta di piazza immateriale che consente un numero indeterminato di accessi e visioni; l’ interpretazione letterale della norma non impedisce l’interpretazione estensiva che porta ad includere Facebook tra i luoghi pubblici al fine dell’applicazione della norma, anzi, tale interpretazione è la più rispettosa dell’evoluzione della tecnologia e dei rapporti sociali tra i quali i social network stanno trovando uno spazio sempre più importante.

Nel caso concreto, la sentenza è stata annullata senza rinvio per sopraggiunta prescrizione del reato, ma il principio enunciato dalla Corte secondo cui integra reato ex art. 660 c.p. l’invio di messaggi molesti “postati” sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa è principio molto importante che troverà grande applicazione nella giurisprudenza successiva.

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