Il marito depresso per la crisi coniugale non risponde del reato di minaccia grave

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La vicenda penale trae origine dalla querela presentata dalla moglie nei confronti del marito per il reato di minacce gravi di cui all’art. 612 c. II c.p. In particolare, la querelante riferiva che il marito si era recato presso la casa familiare per recuperare i suoi effetti personali e, cogliendo l’occasione, le rivolgeva gravi frasi intimidatorie alludendo a frasi del tipo “ti ammazzo” oppure “ti faccio un culo così”.

L’avv. Luciano, difensore dell’imputato, poneva in evidenza la scarsa credibilità della ricostruzione dei fatti offerta dalla persona offesa poiché priva di riscontro tanto nella fase preliminare al giudizio che in quella successiva.

Al contrario, la dettagliata versione della vicenda fornita dall’imputato nel corso del suo esame in dibattimento risultava coerente con quanto emerso all’esito delle indagini preliminari. Nello specifico, il coniuge confermava di essersi presentato nel giorno dei fatti oggetto di contestazione, alcuni minuti prima dell’orario comunicato alla moglie, presso l’abitazione coniugale al solo fine di prendere le sue cose.

In sede di discussione dibattimentale, l’avv. Luciano poneva in risalto la coerente ricostruzione emersa in sede di esame dell’imputato ed evidenziava alcune circostanze utili a provare la sua innocenza. In particolare, rilevava:

  1. la compatibilità tra le dichiarazioni rese sui fatti, in sede di sommarie informazioni, dai conoscenti del coniuge ed il racconto offerto dallo stesso;
  2. alcuni accessi dell’imputato presso il reparto di psichiatria dell’ospedale nei giorni successivi ai fatti oggetto di contestazione;
  3. la sofferenza, da parte dell’imputato, di un grave stato ansioso-depressivo comprovato da verbali ospedalieri.

Tale disturbo psichico trovava conferma anche nella ricostruzione offerta dai conoscenti, vicini di casa del coniuge, i quali precisavano altresì che nel giorno dei fatti contestati l’imputato si era sentito male e si era recato in Pronto soccorso.

L’avv. Luciano poneva in risalto le gravi sintomatologie patite dall’imputato come l’insonnia e la profonda angoscia –  accertate e comprovate nei verbali sanitari – e dimostrava al Giudice la riconducibilità dello stato psichico sofferto al conflitto coniugale. In particolare, si evidenziava come i sintomi patiti dall’imputato si intensificassero in occasione degli incontri con la moglie o in conseguenza alle denunce presentate dalla stessa a suo sfavore.

Le valide argomentazioni utilizzate dall’avv. Alessandro Luciano sono state condivise dal Tribunale di Padova che con sentenza n. 1745/2019 ha assolto l’imputato dal reato di minaccia grave di cui all’art. 612 c. II c.p. perché il fatto non sussiste, ritenendo non attendibile la versione offerta dalla persona offesa.
sentenza Tribunale Padova n. 1745-2019

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